lunedì 19 aprile 2010

I dialoghi improbabili del Dr. Van Harper - n°21

Quando ero piccolo avevo un cane. Si chiamava Scooter. Un giorno scomparve. In lacrime chiesi ai miei genitori che fine avesse fatto.
"Sta forse correndo felice in campagna?", domandai timidamente loro.
"No no" interruppe quell’assordante silenzio mio padre, "è morto".
Impaurito, confuso ma con ancora quegli occhi colmi d’innocente speranza che implorano una menzogna chiesi di nuovo loro:
"Non è che invece di fare una cosa così ovvia e scontata Scooter è veramente scappato per correre felice in campagna? È facile confondersi, pensi che qualcuno sia morto e invece eccolo lì che corre felice in campagna. Il caso della nonna avrebbe dovuto insegnarci a tutti qualcosa, o no?".
"No, Scooter è veramente morto. È stato investito da un camion. Col senno di poi chiamarlo Scooter non è stato di buon auspicio, figliolo".
"Grazie papà, il tuo traballante humour nero fuga ogni dubbio sul tono che avrà il tuo epitaffio. Costringendomi a buttare tutti quelli che ho già scritto, tra l’altro. Ora torniamo per un attimo a me e, nota bene, ho appena sette anni, utilizzo concetti complessi e un vocabolario articolato, ma sono ancora assolutamente in grado di bermi una bugia raccontata con un minimo di convinzione: sei proprio sicuro che Scooter non sia in campagna, al sicuro, con tutti gli altri cani e un affabile fattore che si prende cura di loro? Avere una conferma potrebbe devastare di meno il mio già fragile equilibrio. È difficile la vita per un bambino di seconda elementare che definisce Charles Dickens un ‘Dostoevskij glitterato’".
Mio padre si chinò e appoggiò le sue possenti mani sulle mie spalle. Non smise per un attimo di guardarmi negli occhi.
"Perché Scooter avrebbe dovuto fare una cosa così stupida come scappare in campagna da uno sconosciuto?".
"Perché è un cane, maledizione! E i cani fanno cose stupide. Dicono anche cose stupide. Per questo continuano ad abbaiarsi l’un l’altro. Sono critiche".
Finalmente mia madre prese la parola.
"Caro, forse dovremmo mentire al bambino. Sai, per non traumatizzarlo".
"Grazie mamma per l’empatia e per aver impartito per l’ennesima volta una lezione a questo individuo che ti ostini a farmi chiamare ‘padre’. Grazie anche per averlo detto a voce alta quando sono qui a 30 cm da te ma, ovviamente, farò finta di non aver sentito per mantenere ancora intatta l’illusione nei vostri occhi colmi d’innocente speranza, in un caso, e di miope ottusità, nell’altro".
"Dove eravamo?", chiese mio padre.
"Ci arriverai tra un po’. Allora, questo cane? Esigo risposte", chiesi a mia madre rivolgendole l’attenzione come una bussola si rivolge al nord.
"Scooter non è stato investito da un camion".
"E questo è un inizio".
"È stato ammazzato da Babbo Natale. Proprio come la nonna".

Van Harper Classic: Mr. IKeA – Parte II

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